Storydoing: perché le storie sono importanti? Aiutano a legare insieme comunità e società e sono fondamentali per ciò che rende umani gli esseri umani: generano empatia e sono sempre veicolo di un messaggio.
Dallo storytelling allo storydoing
I brand hanno bisogno di storie perché la gente ha bisogno di storie. I marchi possono essere visti come “macchine di racconti” che effettuano attività di narrazione per coinvolgere un pubblico, educare e intrattenere, cercando di instaurare una relazione comunicativa. Ma la narrazione non è più sufficiente. Occorre applicare quanto raccontato: i marchi devono iniziare a fare, a essere quelle storie.
Troppo spesso, infatti, la narrazione è vista come una mera questione di marketing e comunicazione, qualcosa da limitare magari ai social media, la sezione di un sito web o qualche contenuto del proprio blog. Al contrario, le società di storydoing creano attività ed esperienze convincenti che mettono alla prova la narrativa aziendale in tutto ciò che fanno. Le società di storydoing non parlano esplicitamente, ma fanno parlare di sé attraverso le attività di storydoing. Con lo storydoing, l’obiettivo è attirare l’attenzione e dimostrare un autentico e credibile “scopo oltre il profitto”.
Storytelling e storydoing: quali differenze?
Le aziende che fanno storytelling raccontano la storia del loro marchio, della loro attività o del loro prodotto, di solito attraverso campagne pubblicitarie. È una tendenza andatasi a formare soprattutto negli ultimi anni, quando il concetto di emozionale, di coinvolgimento emotivo del pubblico si è fatto più forte: l’azienda, per porsi più vicina agli utenti e potenziali clienti, deve sapersi raccontare e trasmettere un valore reale nel quale le persone possano rispecchiarsi. Ma, se questa storia non si ritrova poi nella concretezza del prodotto e della comunicazione del marchio, rischia di essere fine a se stessa e non apportare alcun tipo di vantaggio all’azienda. Le aziende che fanno storydoing raccontano invece quelle stesse storie e valori attraverso l’azione diretta. Le aziende storydoer utilizzano quindi la loro storia centrale come principio organizzativo per tutte le attività che le riguardano: sviluppo di nuovi prodotti, reclutamento, compensi, partnership e qualsiasi comunicazione che creano.
Quando i brand dimostrano di essere attivi e presenti nella vita delle persone non soltanto a parole, seguendo la filosofia del Brand Activism, stanno agendo sulla loro storia principale sostenendola con ottimi prodotti e servizi.
Lo storydoing oggi
Negli ultimi anni, ciò che le persone si aspettano dai brand (e dai loro valori) è cambiato in modo significativo:
Semplificazione: vogliamo che i marchi lavorino in modo proattivo per rendere più facile, più veloce o meno costoso ottenere risultati soddisfacenti.
Esperienza: guardiamo ai marchi per fornirci esperienze nuove e gratificanti, specialmente quelli che sono fisici, fuori dal quotidiano e condivisibili.
Empowerment: alimentato dal digitale, ora ci aspettiamo che i marchi ci aiutino a fare cose nuove. Oltre a offrire vantaggi coerenti, vogliamo che i marchi siano dinamici e progressivi. Vogliamo che siano attivatori.
I vantaggi dello storydoing
I marchi che i consumatori apprezzano di più sono quelli che lavorano duramente per aiutarli a fare cose nuove. Le aziende che fanno storydoing spendono meno budget sui media a pagamento, e grazie alle attività che mettono in atto risultano generalmente più efficienti. Inoltre, mentre lo storytelling tende ad assumere un particolare aspetto del prodotto o del servizio, un brand che esegue la sua storia si concentra sull’esperienza utente totale, con una narrazione più aperta. Le persone possono interagire con qualsiasi parte della storia sia più pertinente per loro.
Esempi di Storydoing
lo storydoing coinvolge tutti gli stakeholder (clienti, staff, influencer) nell’esperienza e dà loro un ruolo attivo. La loro partecipazione aiuta a far avanzare la narrativa. Nei loro diversi modi, ad esempio Waze e Airbnb illustrano questa dimensione di storydoing: gli utenti sono sia mandanti che acquirenti, creando effetti di rete a beneficio di se stessi e degli altri. Quello che fanno determina come si svolge la storia.
Red Bull
Il primo brand storydoer per eccellenza è Red Bull, che organizzando il primo Red Bull Flugtag in Austria nel 1991 guadagna una Brand Position come sponsor di praticamente qualsiasi attività sportiva. L’evento, che consiste nel tentativo di prendere il volo con macchine volanti senza motore costruite in casa (più divertenti che funzionanti), si collega al claim aziendale, cercando però di metterlo in pratica.
Un altro esempio firmato Red Bull di storydoing è il record del salto in caduta libera di Felix Baumgartner nel 2012. Si tratta del picco più alto, in tutti i sensi, di storydoing: il brand ha letteralmente messo le ali al paracadutista, ma anche a tutti gli spettatori del mondo. Questo evento ha permesso a Red Bull, che non ha semplicemente sponsorizzato ma ha organizzato l’intera attività, di aggirare i soliti percorsi pubblicitari e collegarsi direttamente ai cuori e alle menti delle persone, perché ha reso reale quanto narrato dal brand a livello di storytelling.
Storydoing ed engagement
In un momento saturo di messaggi, spesso privi di un reale senso per i consumatori, le aziende devono mettere in atto strategie di storydoing, smettendo di “raccontare storie” e coinvolgendo le persone. L’esempio di RedBull non contiene un messaggio, non racconta una storia: è la storia. Ora la cosa più importante per un marchio non è la comunicazione, è il Brand Engagement.